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Crescere bambini bilingue: emozioni e identità

di Federica

Ogni lingua veicola emozioni, impressioni e l’identità di una persona. La lingua “madre” è quella attraverso cui un individuo riesce ad esprimere al meglio se stesso.

Che cosa succede alle emozioni e all’identità quando si desidera crescere bambini bilingue e a farlo sono genitori non madrelingua che parlano con i propri figli una lingua non nativa? Parlando con i propri figli una lingua imparata come straniera da adulto (come nel mio caso, il tedesco), si trasmettono loro meno emozioni? Si perde la propria identità o, ancora, non si è più la stessa persona?

In questo articolo, basato sulla mia esperienza di mamma italiana che cresce bimbi bilingue in tedesco, vi racconto cosa vivo in termini di emozioni e identità nel nostro percorso di bilinguismo non nativo.

Crescere bambini bilingue da genitori non madrelingua: motivazioni

L’idea di questo articolo è scaturita da un mio confronto con una mamma italiana che vive in Inghilterra, in cui si parlava di bilinguismo. Questa mamma mi faceva notare le sue perplessità il merito al mio parlare una lingua non madre con i miei figli, dicendomi che crescere bambini bilingui non è solamente una questione linguistica, ma educativa ad ampio spettro, perché attraverso la lingua trasmettiamo ai nostri figli le nostre emozioni e, quindi, chi siamo. Lei obiettava di non riuscire “a parlare una lingua diversa dall’italiano con i propri figli perché si sentirebbe un’altra persona”. 

I nostri sono due casi diversi, e le nostre prospettive anche. Lei, mamma italiana all’estero, desidera conservare nel bilinguismo con i propri figli le proprie radici e attraverso la sua lingua madre parlata ai suoi figli, trasmette il filo (di sangue e di identità) con la famiglia di origine italiana. Ed è una grande fortuna questa.

Un genitore che desidera crescere bambini bilingue da non madrelingua, ha motivazioni decisamente diverse. Si parla di non-native bilingual parenting, ovvero la scelta consapevole da parte di un genitore di non usare la propria lingua madre nella comunicazione con i propri figli esponendoli ad una lingua aggiuntiva. Questo lo si fa per motivi diversi rispetto all’esempio della mamma italiana in Inghilterra. Lo si fa per viaggiare in mondi diversi anche stando a casa, perché i bimbi apprendono naturalmente le lingue e non c’è un limite di lingue a cui esser esposti da piccoli. Perché manca il vantaggio di vivere in un paese diverso da quello di origine. Il bilinguismo con i bimbi è una scelta che deriva dalla consapevolezza che l’esposizione a più lingue sin da piccoli dia una “maggiore e più precoce consapevolezza che altre persone hanno una prospettiva diversa dalla propria” (cit. “Il cervello bilingue”). E se lo si fa da non madrelingua, è la scelta di donare ai propri figli qualcosa in più, il potere di una lingua aggiuntiva, che forse non ci porterà alla completezza e alla perfezione di un livello madrelingua, ma regala a noi e ai nostri bimbi una maggiore apertura e accettazione della diversità.

Bilinguismo infantile

Infine, una delle motivazioni che ha spinto me a iniziare a parlare una lingua “non madre” con i miei figli è stata la volontà di non aspettare il ruolo della scuola nell’apprendimento delle lingue.

Bilinguismo non madrelingua: si perde l’identità?

Sono cresciuta monolingue italiana. Ciò nonostante, sono sempre stata affascinata dalla torre di Babele, e studiare lingue diverse dall’italiano ha caratterizzato il mio percorso di studi fino a diventare parte integrante della mia professione. Insieme alla curiosità per le lingue, ho sempre avuto la spinta a viaggiare e conoscere luoghi diversi da quelli in cui sono cresciuta. Pur non essendo cresciuta bilingue da bambina, lo sono diventata da adulta, per mia scelta, e mi sento fieramente legata ad un’identità nella quale ho abbracciato il multilinguismo. Sebbene io abbia solo il passaporto italiano, mi piace definirmi una cittadina del mondo per vocazione e non mi piace guardare alla mia identità come solo italiana. Questo mi ha dato la consapevolezza di poter donare il bilinguismo ai miei figli, pur parlando una lingua (il tedesco) con la quale non sono cresciuta. Parlando una lingua aggiuntiva ai miei bimbi, viaggiando insieme ogni volta che ci stacchiamo dall’italiano, io sento la mia identità più completa. Perché di fatto, sono plurilingue e attraverso altre lingue riesco a fare mie parti di altre culture.

Un genitore non madrelingua che desidera crescere bambini bilingue non ha motivo di temere che la sua identità sia meno autentica. Al contrario, se parlare più di una lingua fa parte della sua quotidianità, condividere questa parte di sé con i propri figli è un momento magico per entrambi, unito al vantaggio concreto di trasmettere una nuova lingua. Se io sapessi suonare il pianoforte, lo suonerei insieme ai miei figli. So parlare tedesco e faccio questo con loro. E questo è parte integrante della mia identità.

Credo che il bilinguismo non nativo sia un bellissimo viaggio da compiere con i propri figli, se lo si vuole, senza esclusioni a priori. Si possono far incontrare diversi volti di noi e farli dialogare. Parlare una lingua non madre con i propri figli non vuol dire diventare un’altra persona, bensì offrire una prospettiva aggiuntiva e un arricchimento rispetto al nostro modo di essere.

Bilinguismo non nativo ed emozioni

Un genitore non madrelingua che intraprende un percorso di bilinguismo non nativo con i propri bimbi non trasmette meno emozioni. Al contrario, ne offre tante. Sono una persona che si emoziona quando parte per un nuovo viaggio e si trova in un luogo mai visto prima. Mi emoziono quando grazie al mio essere plurilingue riesco a comunicare con persone di altre culture, o far dialogare persone di lingue diverse (non a caso, ho studiato traduzione). Se è vero che nel sangue sono interamente italiana, è altrettanto vero che nella pancia e nella mente risuonano anche altre lingue, che influenzano le mie emozioni.

Mi emoziono tantissimo quando mio figlio usa correttamente un verbo tedesco, e ripenso a quanto tempo ci ho messo io per fare una frase corretta in questa lingua all’epoca straniera. Le emozioni sono fortemente legate al vissuto, oltre che alla nostra origine. Mi emoziono quando ricordo le mie difficoltà per iniziare a parlare tedesco a 20 anni (nonostante gli anni di studio a scuola e all’università), e quando mio figlio a neanche 4 anni usa questa lingua con me per comunicare in maniera spontanea (non priva di errori, certo, ma non è questo il punto). Mi emoziono perché ammiro il suo coraggio e la sua incredibile capacità di apprendimento. Infine, perché so che con questo atto di crescere bambini bilingue i nostri figli sono sin da piccoli parte di qualcosa di più.

Il perché del nostro bilinguismo non nativo, oltre che essere legato alle emozioni descritte finora, è poi anche pratico. Quando i miei figli inizieranno a fare inglese a scuola a 6 anni, non verranno certo trasmesse loro maggiori emozioni rispetto a quelle che posso comunicare io come mamma ai miei bimbi, pur trattandosi di una lingua non madre per me (nella scuola elementare quanti insegnanti madrelingua di inglese ci sono?).

Quindi, tanto vale sfruttare il legame unico tra genitore e figlio per trasmettere una lingua aggiuntiva. In questo, nessuno può metterci più emozione e amore di una mamma o un papà.

Crescere bambini bilingue

fonte immagine: Adobe Stock

Condivido a tal proposito le parole della mia coach multilingue Najwa (@armonia_multilingue su Instagram), dove “non è la lingua in sé, ma l’intenzione, il cuore, il motivo che c’è dietro che rende autentico il rapporto anche in una lingua non tua“.

Per concludere, crescere bambini bilingue anche se si è genitori non madrelingua contribuisce a creare un’identità plurale ed allargare gli orizzonti insieme.

Se vi va, seguiteci anche sui social dove condivido la nostra quotidianità di famiglia bilingue, con riflessioni, risorse e spunti in questo viaggio meraviglioso che è bilinguismo con i nostri bimbi.

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